sabato 31 marzo 2018

Quanti conoscono i (veri) colori della natura?

Questa riflessione nasce da varie considerazioni, di genere abbastanza diverso.
Chi non ha occasione di osservare di persona (e di frequente) ambienti naturali con i suoi tanti colori e con le loro mille sfumature difficilmente si rende conto di quanto fasulli siano quelli proposti dalle foto su giornali, riviste e manifesti, per non parlare di televisione, cinema, smartphone e schermi di computer.
La evidente prova di ciò si ha nella stessa esistenza della "regolazione colore" (contrasto, luminosità, saturazione, brillantezza, regolazione del bianco, ...); più sono i parametri, minori sono le probabilità che due apparecchi abbiano la stessa regolazione e a ciò si aggiunge che ogni schermo ha una resa diversa. A tutti sarà capitato di andare in un centro commerciale con un grande magazzino di prodotti elettronici con decine di televisori (ormai tutti sottili schermi piatti o leggermente curvi) accesi. Non possono non aver notato differenze, anche sostanziali, fra le varie marche e modelli (anche della stesa casa produttrice), specialmente se apparecchi vicini fra loro mostrano le stesse immagini.
Passando ai computer e simili, oltre alle suddette regolazioni hanno grande importanza la luce dell'ambiente e l'angolo di osservazione. In quanto alla fotografia, ogni tipo di sensore (elemento chiave di qualunque fotocamera digitale) ha una resa leggermente differente, una stessa foto visualizzata su schermi diversi avrà colori diversi e se infine si decide di stamparla, possiamo essere certi che non ci sarà esatta corrispondenza fra immagine a video e quella su supporto, cartaceo o meno che sia. Editando una foto, nella maggior parte dei casi si riesce ad ottenere un'immagine più piacevole, accattivante, bella ... ma quel tramonto era effettivamente così arancione, quel mare era davvero così blu, quel fiore era tanto giallo o rosso? 
Considerando quanto detto, ormai i colori delle cose nel nostro immaginario sono quelli che più comunemente ci propinano ma anche il 4k raramente è veritiero. Si potrebbe affermare che le pubblicità del settore turistico (che vive di immagini fantastiche) siano tutte ingannevoli, in quanto la maggior parte dei colori proposti nelle loro brochure non sono naturali (specialmente in quelle combinazioni) e esistono solo a livello digitale.


Infine, c'è il problema degli occhiali, non quelli da vista ma quelli scuri, polarizzati, a specchio, eccetera che, per protezione degli occhi o solo per moda, le persone indossano stando all'aria aperta e alla luce del sole. Qualche volta mi sono fatto prestare tali tipi di occhiali per capire come apparissero i colori e il risultato è stato sconfortante! C'è un appiattimento dei colori e si perdono tante tonalità e dettagli che, al contrario, vengono esaltati dalla luce del sole.
Quando guidavo gruppi di escursionisti, talvolta in un intero gruppo non c'era una sola persona senza occhiali da sole e dovevo faticare per convincerli a toglierseli almeno per qualche minuto per apprezzare i veri colori di cielo, mare, fiori, foglie e animali. 
Avendo già in mente la stesura di questo post, negli ultimi giorni, passeggiando in ambiente semi urbano, su lungomare, spiagge e viali alberati, ho contato quante persone fra le prime 100 che incontravo usassero occhiali scuri. Ebbene i risultati sono stati abbastanza costanti mantenendosi fra il 65 e il 70%, vale a dire che approssimativamente 2 persone su 3 indossano occhiali da sole. 
Volendo sottilizzare, la maggior parte di quelli senza erano ben adulti e per lo più locali, e di conseguenza considerando solo "turisti" e giovani la percentuale  variava fra l'80 e il 90%. 
Per i cittadini che hanno poche occasioni di muoversi in spazi naturali i colori delle cose sono quelli riprodotti e non quelli naturali e quindi, a maggior ragione, il giorno in cui hanno l'occasione di godersi i veri colori non dovrebbero usare occhiali scuri, o almeno non costantemente. 

mercoledì 28 marzo 2018

I giochi di strada in un eBook (gratuito) - Cavallo cavallo mantieneme 'ntuosto

Dopo qualche peripezia, il mio primo eBook è online ed è disponibile (gratuitamente) nei formati più universali, vale a dire ePub e mobi.
Barracca ‘o rutunniello, cavallo cavallo mantieneme ‘ntuosto, breve saggio pubblicato per la prima volta nel 1992, tratta di giochi di strada di vari decenni fa, quando la televisione non era ancora onnipresente e i diabolici moderni giochi elettronici non erano neanche in progetto.
Per la stesura del testo mi rifeci alle esperienze personali vissute nel corso dei miei soggiorni massesi alle quali aggiunsi notizie relative a giochi già scomparsi negli anni '60 desunte da lunghe interviste-chiacchierate con chi era più grande di me ed era accreditato come esperto di questo o quel gioco.
Come sovente accade, le notizie provenienti da varie fonti erano incongruenti in quanto le regole non scritte variavano da paese a paese, da frazione a frazione, da strada a strada. Tuttavia, c'è da sottolineare che l'essenza della maggior parte di tali giochi e passatempi come strummolo, chirchio, cumeta, ... (trottola, cerchio, aquilone, ...) è senza dubbio uguale da secoli ed in quasi ogni paese della terra.


In quanto ai primi, nella foto di apertura propongo un angolo di Giochi di strada, un dipinto Pieter Bruegel il Vecchio, datato 1560, nel quale sono identificabili un'ottantina di attività ludiche diverse ed in particolare l'ho scelta in quanto include uno dei due giochi parte del titolo del libro, cioè Cavallo cavallo, mantieneme 'ntuosto, altrimenti noto come burro va, churro, mediamanga, mangotero, buck buck, Johnny-on-the-pony, cheval-fondu, uzun eşek ... e ognuno saprà come si chiamava nella propria area.

A ulteriore dimostrazione dell'universalità e della "eternità" (finora) di questo gioco in particolare ho scovato qualche foto d'epoca significativa, di vari decenni fa e di diverse parti del mondo. Ho addirittura scoperto che in Corea è (o almeno era) tanto popolare da meritarsi dei monumenti (abbastanza brutti e di dubbio gusto) come questo paio in calce.


Spero di aver fatto cosa gradita ai tanti che negli anni mi hanno chiesto copia del libro, tiratura esaurito già a metà degli anni '90. Concludo invitandovi a guardare la prima parte del video turco qui sotto, con un "cavallo" estremamente affollato! Notate quanto riescano a saltare in avanti, il chiattone che si ferma sulla prima schiena, quello che lo supera saltando molto in alto per poi cadere con la massima forza possibile, si creano tre "strati" di ragazzi ... 

venerdì 23 marzo 2018

Altro colpo di genio: i castori del Canada in Patagonia!


Per puro caso mi sono imbattuto in una notizia attinente (non so com'é, ma queste "sequenze" mi capitano spesso) alle due del post precedente nel quale ho trattato di pitoni e ippopotami nel paese sbagliato.
In questo caso si tratta di un demenziale intervento ufficiale, statale, risalente addirittura al 1946, e non attribuibile a privati, con o senza l'intervento di un uragano. Il governo argentino, con il fattivo contributo dei militari, introdusse in Patagonia 20 castori canadesi (Castor canadensis, una delle due sole specie esistenti) con la speranza di sfruttarli come animali da pelliccia (e qui ognuno è libero di fare le proprie considerazioni ...).
Il problema è che negli anni non sono stati cacciati e, non avendo predatori (solo quelli che si sono spinti verso nord sono stati “controllati” dai puma), si sono riprodotti a dismisura; attualmente il loro numero è vagamente valutato fra 100.000 e 150.000. Si parla tanto della deforestazione in Amazzonia (portata avanti direttamente dagli uomini), ma molto poco dei nostri simpatici roditori che in poche ore fanno fuori querce di oltre 100 anni di età.

In effetti, nonostante l’opposizione di “ambientalisti con i paraocchi” che preferiscono sacrificare ettari di boschi nei quali trovano rifugio e sostegno alimentare tante specie animali per non eliminare “fisicamente” i castori, addirittura la FAO si è trovata costretta a prendere posizione e ad intervenire finanziando uno specifico programma per eradicarli. Questi roditori, mitizzati in tanti cartoni animati, come i pitoni e gli ippopotami del post precedente non hanno alcuna colpa, ma sono causa diretta di un disastro ambientale, seppur innescato dalla poca lungimiranza (si può dire idiozia?) umana.
Gli alberi muoiono in piedi, seccano e infine cadono; i castori li utilizzano poi per creare le loro ben conosciute “dighe”, creando laghetti e pantani, deviando il corso naturale delle acque e causando gravi ulteriori danni all’ecosistema.
Finora si calcola che in Patagonia hanno raso al suolo 30.000 ettari di bosco nativo.
Si deve sottolineare che, a quanto ho letto, sembra che gli argentini non siano nuovi a queste “imprese”. In quelle lande disabitate hanno immesso visoni, topi muschiati e conigli. Poi volpi grigie per eliminare la piaga dei conigli i quali furono però annientati dalla mixomatosi (patologia tipica dei conigli) ma le volpi sono rimaste.
Uno studio ha calcolato che i castori costano all’Argentina 66 milioni di dollari l’anno. Per eliminarli si prevede che ci vorrebbero non meno di 30 milioni di dollari ma non è una mera questione di soldi ... i danni reali sono ben altri!
Per fortuna, sembra che ora, con l’appoggio dell’ONU e il sostegno dei conservazionisti (da non confondere con gli animalisti) ci siano speranze di salvare il particolarissimo ambente della Patagonia.

lunedì 19 marzo 2018

Due casi emblematici di cattiva “gestione” di animali

Non entrerò nelle eterne polemiche che fra animalisti e non, fra chi ama “veramente” i cani e chi invece li compra perché è di moda e poi li abbandona, fra chi dice di amare gli uccelli (e li tiene in gabbia) e i cacciatori, fra i fautori del ripopolamento di lupi, orsi e cinghiali e quelli che da questi subiscono seri danni, e via discorrendo. Vi sottopongo invece due casi limite che, tuttavia, dovrebbero far riflettere. Le cause sono le solite, equamente ripartite fra esibizionismo, eccessiva tolleranza e commercio.

1 * Ippopotami a Las Chopas (Messico) e Antioquia (Colombia)
In un’area umida dello stato di Veracruz da oltre un mese si aggira un ippopotamo, secondo gli esperti di circa tre anni e 600 kg di peso. Considerato che l'areale di detti pachidermi è strettamente limitato ai corsi d'acqua africani ed escluso che possa essere giunto a nuoto, resta solo la possibilità che provenga (scappato o rilasciato) da uno zoo privato di qualche straricco (i narcos sono molto eccentrici), anche se chi dice che potrebbe essere stato “liberato” da un circo dopo la messa al bando degli animali in tale ambito. Pur essendo un specie aggressiva e letale (specialmente se in gruppo) questo esemplare, probabilmente nato in cattività, appare docile e “socievole” ed è quindi ben presto diventato la mascotte della popolazione locale che gli ha dato anche un nome: Tyson.  
Nelle ultime settimane gli avvistamenti del pachiderma sono diventati più frequenti e quindi c'è stata una processione di persone che, giudicandolo simpatico ed innocuo, lo lo avvicinano, si fanno gli ormai immancabili selfie e gli portano cibo, ovviamente per la maggior parte non adatto alla sua dieta.
Ma se il tranquillo Tyson al momento è gestibile ed essendo solo non c’è rischio di riproduzione, la situazione in Colombia è ben diversa ed il problema si sa che nacque oltre una ventina di anni fa. Insatti, è accertato che, seppur indirettamente, il “responsabile” fu Pablo Escobar (1949-1993, il più famosi dei narcos) in quanto, mentre rinoceronti, giraffe e altri animali furono presto individuati, i suoi quattro ippopotami si fecero vedere solo dopo che tutti gli altri suoi beni erano stati inventariati, sequestrati e trasferiti. Da allora si sono adattati alla perfezione e si sono riprodotti fino a diventare di certo oltre una cinquantina, ma potrebbero essere molti di più. Questi sì che sono pericolosi e quindi il progetto di individuazione, cattura e trasferimento è estremamente difficile da portare a termine. Nel 2009 un gruppo di soldati sparò all’unico maschio dei 4 ippopotami originali di Escobar, immediatamente gli “ecologisti” scesero in campo ed un giudice proibì la loro caccia (ovviamente senza curarsi di tutti gli altri animali autoctoni). 
Nel frattempo questi pachidermi hanno già alterato l’ecosistema dei corsi d’acqua della regione di Antioquia visto che mangiano fino a 50 kg di cibo al giorno, con le loro 3 tonnellate causano gravi danni al suolo dei boschi ed hanno praticamente cacciato nutrie, chigüiros y e manatí dal loro habitat naturale. Oltre a non avere problemi di riproduzione, a sopportare scarsezza di acqua e cibo, in Colombia gli ippopotami hanno l’ulteriore vantaggio di non doversi difendere da alcun predatore.
2 * Pitoni birmani in Florida (USA)
Nell’Everglades, parco nazionale americano di rilievo mondiale in quanto pressoché unico nel suo genere (World Heritage Site, International Biosphere Reserve, Wetland of International Importance), si stima che oggi ci siano parecchie decine di migliaia di Pitoni birmani. Questi serpenti sono fra le 5 specie più grandi al mondo, possono superare i 6 metri di lunghezza, pesare anche un quintale e, pur non essendo velenosi, sono dei formidabili predatori. Già dagli anni ’70 era stata notata la loro presenza ed era stata attribuita ai soliti idioti che li comprano e poi li abbandonano quando diventano troppo grandi per poter essere gestiti in un comune terrario. A questi si aggiunsero, nel 1992, circa 900 giovani pitoni che furono “sparsi” nei 3.800 kmq del parco dall’uragano Andrew che distrusse l’allevamento nel quale si trovavano; da allora si sono perfettamente adattati nell’area umida del parco e in alcune zone di Everglades si è registrata la quasi totale sparizione di mammiferi, evidentemente divorati o costretti a trasferirsi altrove.


Al momento è in atto un programma ufficiale di “cattura di pitoni” diretto dal biologo Mike Kirkland il quale, dopo aver provato a cacciarli con trappole, con cani specificamente addestrati, ad attirarli con feromoni, impiantando gps per localizzare le tane, ha dovuto ricorrere alla caccia vera e propria, addestrando 25 cacciatori e pagandoli. Questi, oltre al salario minimo  di 8,25 dollari per ora di caccia, ricevono 50$ per ogni pitone lungo più di 1,20 metri, ulteriori 25$ per ogni 30 cm in più e addirittura 200$ se trovano una tana con uova. Alcuni di loro, che catturano i serpenti con le mani, sono ormai personaggi quasi leggendari e la coppia più famosa è composta da Greg Morris e Dusty CrumWildman” (il Selvaggio) che hanno già eliminato varie centinaia di pitoni. Prima di partecipare a questo programma non erano cacciatori, dicono di amare gli animali, ma stanno dalla parte della fauna locale e non degli “invasori”.
Un cacciatore indipendente di pitoni, tale Wasilewski che collabora con vari enti scientifici e con l’Università della Florida, un anno fa invitò e ospitò per due mesi Masi Sadaiyan e Vladivel Gopal, due indiani specializzati nelle tecniche tradizionali per la cattura dei serpenti.
Questi pitoni sono capaci di percorrere anche decine di km e ormai si stanno avvicinando alle aree abitate e gli “incidenti” sono sempre più frequenti. Il 12 gennaio alcuni golfisti ne trovarono uno avviluppato attorno ad un caimano (Caiman crocodilus) sul prato vicino ad una buca, il giorno prima la polizia ne aveva catturato uno in una superstrada urbana di Miami, nella cui baia un canoista ne aveva avvistato uno arrotolato su un tubo.
Il biologo Mike Kirkland dice che nessuna persona è mai stata attaccata ma non esclude che possa accadere, specialmente se continuano a riprodursi e ad allargare la loro area di caccia. Per ora hanno già certamente alterato gli equilibri dell’ecosistema dell’Everglades.

Se si lasciassero gli animali "selvatici" nei loro ambienti originali, naturali e quindi più o meno equilibrati, si eviterebbero non solo tanti problemi immediati ma anche alcuni successivi, ancor più gravi.

mercoledì 14 marzo 2018

Post polivalente: escursioni, cartografia e ... sicurezza o solitudine?

ESCURSIONE
Lunedì ho portato a termine l’ultima ricognizione programmata nella parte nord della caldera e del Parque Nacional del Teide, in una giornata di visibilità eccezionale grazie alla ridottissima umidità relativa e alla totale assenza di nubi. Oltre a vari aggiornamenti nell'area a ovest del Centro Visite, ho "scoperto" (nel senso che non sono incluse fra i sentieri ufficiali del Parco) due brevi bretelle in disuso ma ancora in eccellenti condizioni che permettono un facile, piacevole e panoramico collegamento fra Centro Visite e Portillo Alto.
Ovviamente ho approfittato della passeggiata (sentieri 1-33-22-7-27-6-24-1* 24km, 800m disl.) e della luce eccezionale per scattare molte foto, una trentina delle quali (con didascalie esplicative) sono già online da un paio di giorni.
Chi volesse percorre il mio itinerario, sappia senza le mie varie deviazioni lo sviluppo è di solo una ventina di km, che la parte nord del 33 (dall’1 a Montaña Negra) è un po’ disagevole, che tutti gli altri sentieri percorsi sono essenzialmente facili, ma non sottovaluti il dislivello; infatti oltre ai 500 metri di differenza di quota fra parte bassa (Portillo) e parte alta (sentiero 7), si affrontano numerosi saliscendi che portano il dislivello totale a oltre 800m ... e si cammina ad oltre 2.000 metri di quota.

MAPPA
Riportati i dati e le osservazioni sulla mappa (come ogni cartina sempre in fase di elaborazione e aggiornamento), ho provveduto a reimpaginarla dividendola differentemente e ottimizzandola in modo da poter essere stampata in 4 fogli verticali (A3 per una facile lettura, A4 - più maneggevole - per chi ha una buona vista) come si vede nel quadro d'unione sottostante. Anche stampando in bianco e nero tutto risulta leggibile.
Ogni mappa ha una sufficiente fascia di sovrapposizione con le contigue, in particolare il passaggio da est a ovest risulta di facile lettura in quanto la strada principale funge da evidente riferimento essendo riportata su entrambe. Come risulta chiaro dal quadro d'unione, il piccolo riquadro  a sud-est (2a, che restava esterno a tale divisione) è riportato in un angolo della 2, con la quale ha una fascia in comune.
Rispetto alla versione precedente ho aggiunto molte curve di livello anche se nelle aree prive di sentieri e a pendenza più o meno costante, mi sono limitato a riportare solo direttrici (alias maestre) a 100m. Ho anche aggiunto le fermate (paradas) dei bus di linea della TITSA e i principali mirador.

SICUREZZA o SOLITUDINE?
Questo è un annoso dilemma ... senza soluzione. Penso che si debba trovare la giusta via di mezzo, senza esporsi a inutili rischi ma non per questo si deve rinunciare al piacere di non vedere e non sentire nessuno se non il rumore del vento, i rapidi spostamenti dei lagarto tizon (grosse lucertole endemiche) e il canto degli uccelli.
Visto che ho affrontato il tema, ripeto le solite raccomandazioni. Non dovreste mai camminare da soli, ma se volete o dovete andare in escursione solitaria è importante che:
  • conosciate il percorso e l’area circostante (per eventuali vie di fuga),
  • sappiate quali sono i possibili rischi e difficoltà;
  • siate forniti di mappa (la sapete interpretare?), gps (lo sapete usare?) e cellulare (ci sarà copertura?);
  • abbiate con voi acqua e cibo sufficienti (in base alle vostre esigenze e alla situazione meteo della giornata);
  • indossiate abbigliamento adatto e abbiate un ricambio di base;
  • informiate qualcuno del vostro itinerario e dell’orario di ritorno previsto.

Se siete persone consce dei propri mezzi e rispettate tutte le suddette indicazioni dettate dal buon senso, andando in escursione da soli certo non correrete più rischi che andando in giro da soli in città dove, ovviamente, i pericoli saranno di tutt’altro tipo.

In conclusione, se “rischiamo” ogni giorno - e non per nostro piacere - perché non dovremmo affrontare qualche altro piccolo rischio (minore rispetto a quelli quotidiani) per goderci la solitudine di un ambiente aperto e naturale come quello del Parque Nacional del Teide?

sabato 10 marzo 2018

“In questi paesi del Peru’ vi sono pecore grandi come cameli ...”

E continua “... il corpo somiglia al camelo, et la testa come pecore di Spagna, et li paesani le adoprano at lavorar la terra, et a someggiare, et sono bonisime da mangiare”.
   
Si tratta di una delle note aggiunte allo straordinario planisfero con proiezione polare di circa 3 metri di diametro, composto da 60 mappe raccolte in un atlante, delineato da Urbano Monte nel 1587Le prime quattro tavole rappresentano la calotta polare divisa in settori circolari (ovviamente di 90° ciascuno) mentre le altre 56 sono di forma di settore di corona circolare, numerate per fasce procedendo verso est e, una volta completata una, si passa alla sottostante, a sud. La prima mappa è quella che comprende il Nord Europa e quindi la quinta (sottostante, immagine in alto a dx) copre il Mediterraneo occidentale, la sesta il Vicino e Medio Oriente e così via. 
Le due immagini che seguono si riferiscono all'intero planisfero e al montaggio delle prime 4 tavole che coprono la calotta polare.
   
Questo famoso atlante, ben noto come tale, vari mesi fa fu acquisito dalla David Rumsey Map Collection della Università di Stanford e dopo averlo accuratamente scannerizzato, come tutte le altre mappe antiche della collezione, gli esperti si resero conto che le sessanta mappe potevano effettivamente essere composte in un unico grande planisfero.
La cosa è stata ovviamente realizzata in modo digitale e non certo ritagliando i disegni dalle pagine dell’atlante, che tuttavia furono ideati proprio per essere montati su un pannello di legno che potesse ruotare su un asse coincidente con il Polo Nord, così come esplicitato dallo stesso autore.
Ma la mastodontica opera non si limita alla sola rappresentazione di oceani e continenti nelle 60 mappe (raccolte nel “Libro Terzo”) ma negli altri “Libri sono anche riportate tante dettagliate notizie climatiche e geografiche.
   

Inoltre, molte di tipo descrittivo sono inserite nelle tavole stesse, in parte con disegni di sovrani e brevi testi descrittivi di paesi lontani (in particolare nella parte estrema dove c'è più spazio sia per la distorsione dovuta alla proiezione sia per la predominanza del mare - vedi sopra), rappresentazioni di eventi storici, succinte notizie in merito alle abitudini delle popolazioni, descrizioni di animali sconosciuti in Europa (come nel caso dei lama, ai quali ovviamente si riferisce l’incipit). 
   
Per esempio, nello stralcio sopra a sx si possono leggere curiose note relative ai nativi della Florida (che all'epoca si estendeva fino al nord del Messico) e i "grandi coridori" che corrono "al paro dele fiere" potrebbero riferirsi ai famosi Tarahumara (ma resta il mistero delle donne che allattano i loro figli fino a 12 anni) ed ai fiumi che corrono solo di giorno e i "giganti" (?) delle regioni andine (a dx). 
Nello stralcio sopra si vedono due autoritratti dell'autore Urbano Monte posti sotto alla data (1587, "doppo la Natività di nostro signore") ma noterete che in quello originario a sinistra si dichiara di anni 43, in quello a destra di anni XXXXV (45). Tutt'oggi esistono entrambi e il disegno aggiunto è sollevabile, come appare dalle foto affiancate, e ciò lascia intendere che Monti continuò a lavorare all'opera almeno durante i due anni successivi alla pubblicazione.
  
Da questa pagina gli interessati potranno ammirare nel dettaglio l'intera opera, le immagini possono essere ingrandite molte volte essendo in alta risoluzione ed è anche possibile scaricarle in jpg di grandezza di circa 8.000 pixel di lato. 

martedì 6 marzo 2018

... e giunse il giorno (quasi) perfetto per il Teide innevato!

Dopo varie settimane "turbolente" fra tempo incerto, qualche acquazzone, tanta neve in quota e abbassamento di temperatura (la minima a 13° al livello del mare qui è reputata un gelo e potete ben capire che a oltre 2.000m di quota anche di giorno fa molto freddo), finalmente lunedì è giunto il giorno adatto per il tanto atteso ritorno alla caldera ... con neve. Le temperature erano già tornate alla normalità e la strada era stata riaperta, ma fra sabato e domenica un vento caldo e forte (in vetta soffiava a ben oltre i 100km/h) ha sciolto gran parte della neve (con mio disappunto). Ieri ho comunque approfittato del cielo assolutamente terso e mi sono messo in marcia per un'ennesima ricognizione, che si è rivelata fruttuosa oltre le previsioni. 
   
Il possibile abbinamento mare/montagna è uno dei tanti vantaggi di quest'isola (Tenerife); si può vivere e passeggiare in riva al mare - ed anche bagnarsi - e in un'oretta di bus (pubblico) si può raggiungere la caldera del Teide, tutta inclusa nell’omonimo Parque Nacional di 190kmq, fra i 2.000m e i 3.718m della cima del vulcano, secondo gli spagnoli il più alto d'Europa, ma geograficamente appartiene alla Macaronesia o, volendolo associare ad un continente, all'Africa.

In questa foto, a sinistra si vede il barranco e al centro il sentiero che prima taglia scende in diagonale e poi a zigzag perdendo quasi 200 metri di quota. 
Tornando alla splendida passeggiata di ieri, il mio obiettivo principale era di percorrere di mattina il circuito di Arenas Negras (quasi 9 km partendo da Portilloper avere il Teide a favore di luce e poi avrei avuto tutto il tempo di effettuare ulteriori ricognizioni lungo sentieri al momento non inseriti fra quelli ufficiali del Parco. 
   

   
Il tempo e la luce sono stati ottimi, solo il cima al Barranco Llano Maja (4 foto in alto), al limite dell'omonima vasta spianata che rappresenta uno dei passi del ciglio della caldera, tirava un vento tale da costringermi a coprirmi utilizzando quasi tutto ciò che avevo a disposizione. Ciò non mi ha impedito di godere dei vastissimi panorami sui campi di lava de las cañadas, con i loro mille colori, i tanti crateri, le sabbie e le rocce, tutto con il Teide parzialmente innevato sullo sfondo.
   
Dopo aver anche colto l'occasione per verificare una traccia che attraversa il Llano de Maja, sono tornato nella caldera percorrendo lo zigzagante sentiero attraverso Arenas Negras (sabbie nere)  e mi sono potuto ri-spogliare ... (poco vento e temperature vicino ai 20°) prima di avviarmi a ovest della rotabile per proseguire nelle mie ricognizioni.
   
Ho così attraversato altre aree con pendenze molto più lievi, con più vegetazione, ma sempre in un ambiente nel quale ogni particolare è inequivocabilmente vulcanico ... ovviamente a cominciare dai crateri disseminati pressoché dovunque (foto sopra). E andando in giro ho notato e mappato due sentieri non ufficiali e ho verificato la mancanza di un tratto di un terzo.

Come avrete capito, questo tipo di ambiente, spesso semidesertico, è comunque sempre affascinante per l'escursionista attento ... e sì, ricordate che per avere le migliori esperienze dovete camminare un po' e non limitarvi a scendere dall'auto e scattare una foro dal mirador di turno!

venerdì 2 marzo 2018

Previsioni e speranze per gli Oscar 2018

Con il rush finale per guardare quanti più film con almeno una nomination Oscar prima dell'assegnazione dei premi, sono riuscito a completare (come si diceva per gli album di figurine) quasi tutte le categorie principali, anche se in vari casi mi sono dovuto accontentare delle versioni doppiate.
Mi mancano” solo Mudboud, The Florida Project (questi sono quelli che mi interessano di più), Roman J. Israel, Esq. e The Big Sick oltre a quasi tutti i non in lingua inglese dei quali ho visto solo The Square (Svezia), ma spero di recuperare almeno e The Insult (Libano), Una mujer fantástica (Cile).
Di conseguenza ho un buon quadro della situazione ed ecco le mie previsioni, più che altro speranze, per le assegnazioni delle ambite statuette.
   
Best Picture
Spero che vinca uno dei due soli film completi (non con solo una o due eccellenze), vale a dire The Shape of Water Three Billboards Outside Ebbing, MissouriTemo possibili outsider come Phantom Thread e The Post, rifuggo dall’idea di una ipotetica scandalosa vittoria di uno degli altri 5.

Regia
Visti i concorrenti, Guillermo del Toro (The Shape of Water) non dovrebbe avere problemi ad aggiudicarsi finalmente un Oscar per la regia; secondo me, gli altri sono veramente molto lontani.

Attrice protagonista
Scarto immediatamente Saoirse Ronan (Lady Bird, appena recensito), poi Meryl Streep (The Post) per aver fatto molto di meglio in passato e Margot Robbie (I, Tonya) che non mi ha convinto e a contendersi l’Oscar rimangono quindi le due favorite Sally Hawkins (The Shape of Water) e Frances McDormand (Three Billboards ...). Entrambe sono molto brave ed hanno offerto ottime prove nei rispettivi film, senz’altro i migliori fra quelli di questa edizione; è un bel testa a testa ma le mie preferenze vanno con convinzione a Frances McDormand.
   
Attore protagonista
Il favorito è senz’altro Gary Oldman (Darkest Hour) e spero che vinca. Dopo aver visto Timothée Chalamet (Call Me by Your Nameanche in Lady Bird la mia opinione di questo “astro emergente” (secondo alcuni) è ulteriormente peggiorata; ci sono i due afro-americani Daniel Kaluuya (Get Oute Denzel Washington (che non ho visto in azione) che non penso possano beneficiare dell’onda lunga dell’anno scorso (per la quale è oltretutto in corsa anche Jordan Peele, regista di Get Out) e infine c’è il vero possibile contendente Daniel Day-Lewis (Phantom Thread), forte dei tre Oscar già conquistati e del fatto che si tratta della sua ultima interpretazione (che non mi ha colpito più di tanto) e quindi potrebbero conferirgli il premio quasi come uno “alla carriera”.
   
Attrice non protagonista
Categoria molto imprevedibile, le mie preferenze vanno a Allison Janney (I, Tonya), ma non ho avuto occasione di guardare Mary J. Blige (Mudbound). Vari siti pongono in pole position anche Laurie Metcalf (Lady Bird) la quale non mi ha convinto, come del resto tutto il film in cui compare. Octavia Spencer (The Shape of Water) e Lesley Manville (Phantom Thread), pur brave, patiscono l’handicap di avere parti molto limitate.
Delle 5 nessuna mi è sembrata eccezionale o tanto migliore delle altre. Chi vincerà? E in base a quale valutazione?
   
Attore non protagonista
Situazione simile alla precedente in quanto a incertezza, ma ben diversa in quanto le cinque interpretazioni sono tutte di gran qualità. Due (Woody Harrelson e Sam Rockwell) sono incluse nello stesso film  (3 Billboards ...) con il secondo favorito anche perché il suo personaggio è presente durante tutto il film mentre Harrelson compare solo nella prima parte.
Gli altri tre sono certamente a buon livello (anche se non ho guardato interamente The Florida Project ne ho visto abbastanza per valutare Willem Dafoe) e vedo come outsider a sorpresa Christopher Plummer (All the Money in the World) il quale potrebbe avere un piccolo vantaggio “emozionale” per essere il più anziano (88 anni) attore candidato agli Oscar di sempre e considerazione per aver dovuto sostituire Kevin Spacey a riprese quasi ultimate. Minime speranze per il pur bravo Richard Jenkins (The Shape of Water).
   
Sceneggiatura adattata
James Ivory (Call Me by Your Name) viene dato per favorito, ma spero che non vinca, così come spero che l'Oscar non vada a Aaron Sorkin (Molly’s Game), che non sopporto per la sua logorrea. 
Spero che vincano gli sceneggiatori di TheDisaster Artist (Scott Neustadter e Michael H. Weber) o di Logan (Scott Frank, James Mangold e Michael Green), ma se vincessero quelli Mudbound (di Virgil Williams e Dee Rees) mi andrebbe bene egualmente, almeno fin quando riuscirò a guardare il film.

Sceneggiatura originale
Anche in questa categoria mi manca un film (The Big Sick, Emily V. Gordon e Kumail Nanjiani), ho espresso chiaramente le mie drastiche opinioni negative in merito a Lady Bird e fra i tre rimanenti vedo fuori gioco Jordan Peele (Get Out).
Qui ci sarà un altro scontro diretto fra The Shape of Water e Three Billboards Outside Ebbing, Missouri nelle persone dei rispettivi sceneggiatori Guillermo del Toro e Vanessa Taylor per il primo e Martin McDonagh per il secondo. Io tifo senz’altro per quest’ultimo e non solo perché lo preferisco, ma anche in quanto è ormai assodato che, pur non trattandosi di plagio vero e proprio, la storia proposta da del Toro in The Shape of Water tanto “originale” non è.

Lunedì 5 marzo, prima dell'alba, i risultati degli Oscar 2018 si accavalleranno a quelli delle politiche ... sarà una lunga notte ...